Tornando indietro lo rifarei?

L’anno scorso pensavo di aver perso tutto, di non aver niente più per cui vivere, per cui ho pensato bene di perdere le uniche due cose che mi erano rimaste: orgoglio e dignità. Ne sarà valsa la pena? Nessuno e niente è così importante da buttare nel cesso la tua dignità. Io l’ho fatto. Ma a questo punto mi chiedo: ne sarà valsa la pena? Ancora a distanza di un anno non ho la risposta a questa domanda, o non voglio averla perchè non mi piacerebbe. Ho ancora tante carte da giocare e ho buttato l’anno scorso 5 mesi interi dei miei 20 anni perchè? e in che modo? Quelli che erano i miei amici hanno provato a farmelo capire, ma non capivo..  Diciamo che quest’anno mi sono un pò rifatta, ho avuto la mia piccola rivincita, ma 5 mesi sono andati, persi, puf! E con loro anche un paio di altre cose, anche di una certa importanza… Tornando indietro, lo rifarei?

Vabbè, me ne vado al mare, ormai il tempo è andato, inutile rimurginarci sopra. Impara Viviana, impara cavolo!

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Riflessioni a stomaco vuoto

La mia vita sta prendendo una strana piega, ed io non so gestirla.. E’ solo che non me lo sarei aspettata, a questo punto, in questo modo. La mia sfiga con le età non mi abbandona, ormai è diventata una costante nella mia vita da 4 anni a questa parte. Mi fa sentire un pò a disagio, un pò fuori luogo. Sarà che mi rapporto meglio a gente più piccola perchè sono io a non essere cresciuta e quindi non saprei stare con i miei coetanei, o è proprio solo la sfiga di trovare gente sempre di un paio di anni, se non di più, più piccola di me?

Tutto sommato non va affatto male, a parte il fatto di non saper prendere in mano le questioni davvero importanti, l’università ad esempio. Mi ritrovo ferma al secondo anno quando dovrei essere al terzo, e senza la minima voglia di andare avanti. Più che altro senza la minima voglia di sforzarmi a studiare. E non va bene, non per qualcosa di sensato, ma semplicemente perchè non posso permettermelo, i miei hanno deciso che o vado avanti, o mi trovo un lavoro, faccio le valigie e sloggio.

Sto con un ragazzo che non mi ama come vorrei, o forse sono io che non credo che mi ami.

Sto con un ragazzo che forse non amo più, forse da quando è tornato da me, forse da quando mi ha fatto troppo star male, forse da quando io ero sicura che fosse lui il mio ragazzo per sempre e lui invece non ne è più stato sicuro, salvo poi tornare da me dicendomi di aver fatto il più grande sbaglio della sua vita. Sto di nuovo con un ragazzo, un ragazzo che però, dopo 3 anni e 9 mesi o giù di lì, forse non amo più. E’ strano, perchè l’ho amato alla follia, e “alla follia” in un determinato periodo non è stato per modo di dire, ero davvero uscita fuori di senno, davvero mi ero autodistrutta. Forse ho solo paura di stare sola e quindi mi accontento di avere accanto una persona che forse non amo più, ma che comunque mi è accanto, so che c’è… Ma davvero so che c’è? Forse ho paura di non riuscire a trovare un altro.

O forse ho solo sofferto troppo e credo di non amarlo più come prima ma è solo per proteggermi, perchè la prossima volta che mi lascerà (perchè ormai mi sono convinta che succederà) non vada troppo male, per far finta che io possa non soffrire troppo.

Ocforse ho solo fame perchè non ho ancora cenato e per questo sto delirando.

O forse non ho ancora capito un cavolo di me e quindi continuo a dondolare un pò di qua un pò di là, mentre in concreto non concludo nulla e non so dove andare.

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21 agosto 2012 · 8:30 PM

Come quando affoghi.

Come quando affoghi.

Più provi a respirare più nei polmoni entra acqua. Tu ci provi, ti dimeni, non vuoi che la tua vita finisca qui, tu non vuoi affogare, tu vuoi ricominciare, tu vuoi vivere, tu vuoi vincere. Vuoi ricominciare.

Tu vuoi ricominciare. Tu stavolta vuoi ricominciare davvero.

Ma più provi a respirare più ti ritrovi in agonia.  Più provi a respirare più non funziona. Più provi a risalire, più non ci riesci. Non funziona.

Come quando affoghi.

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Oggi è questa, ed è perfetta (non che mi piaccia il fatto che lo sia).

Se un giorno tu Tornassi da me dicendo che È stato un errore Lasciarmi andare lontano lontano da te
Se un giorno tu Parlassi di me Dicendo che Sono il tuo rimpianto e non riesci a dormire Allora ti direi
Stavolta sarebbe per sempre
Non importerebbe niente se
Le parole tue Mi hanno fatto male ma tanto vale che
Stavolta sia per sempre
Perché l’orgoglio in amore è un limite Che sazia solo per un istante e poi Torna la fame

[…]

E so che è stupido pensarti diverso Da ciò che sei realmente
Di quello che ho dato non ho avuto indietro Neanche quel minimo Per cui valga la pena di star male Mentre affoghi nei tuoi errori
E cerco di capire l’irrefrenabile Bisogno di cercare amore 
In quel terreno che è fertile neanche a Morire 

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Che poi, forse, qualcosa di me ve la dico. 2.0

Mi sono trasferita, dicevamo. Un paesino sperduto dell’entroterra siciliano dove ancora si usava la parola “forestiero” per indicare qualcuno che veniva da fuori. Ecco. Io ero la “forestiera”. Tutto sommato mi ero integrata abbastanza bene, ma sempre forestiera restavo.

Ecco, i miei problemi relazionali forse iniziano lì, alle elementari. Ad una bambina normale di solito in 4 anni quanti bambini diversi possono piacere? 48? uno ogni mese diciamo. Ecco, a me no. A me 1. Sempre lo stesso. Per 4 anni. 4 anni sono rimasta in quel paese, 4 anni sempre lo stesso bambino.

Il mio primo fidanzatino. Per me era una cosa seria. Non siamo stati “fidanzati” 4 anni, ovviamente. Lui era un bambino normale. Lui si “fidanzava” ogni tanto con me, ogni tanto con la mia compagna, ogni tanto con qualcun’altra. Ma io aspettavo sempre lui. E quando toccava di nuovo a me ero sempre lì.

Ecco. A distanza di più di 10 anni le cose non erano cambiate di molto. Ci ho messo più di 10 anni per capire che è sbagliato. Spero adesso di averlo capito. Non ne sarei tanto sicura, ma spero di aver capito davvero.

Boh, non so perchè ma cerco sempre l’amore della vita, per la vita, quello che mi dica “vieni a vivere con me”. Colpa della cura a base di cartoni animati della Disney? Sarò scema.. E sono diventata scema a quanto pare molto presto da bambina…

Poi di nuovo il trasferimento. Si torna a casa. Vicino al mare. Sembro diventare normale, dopo un pò. Ancora qualche mese a piagnucolare per lui, ma poi sembro diventare normale. Le prime cotte, i primi giochi della bottiglia.. Sarà che l’aria di casa mi ha fatto bene.. Per un pò.

Poi in terza media arriva lui.. Ok, sono fregata. Altri 4 anni. Stavolta però è più grave.

Ok, ora mi rompo. anche perchè è complicato. Alla prossima.

Viviana.

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Che poi, forse, qualcosa di me ve la dico.

Sono Viviana. Ho 20 anni, 21 tra pochi giorni.

Fumo quando sono sola. No, ho sbagliato. Ricominciamo.

Sono Viviana. Ho 20 anni. 21, tra pochi giorni.

Fumo quando mi sento sola, quando mi sento troppo sola. E quando sono in compagnia, di chi fuma. So non fumare. Ma ultimamente non lo faccio quasi mai. Finirà che non lo saprò più fare.

Sono riccia.

Ero una bambina normale. Ero bruttina. No. Ok. Ero una bambina normale. Ero carina, non bella. Carina. Carina, perchè dei bambini non si dice che son brutti. Quindi ero carina. E riccia. E mamma i miei capelli ricci non li ha mai fatti sembrare carini, quindi, dato che ero una bambina, e dei bambini non si dice che hanno dei brutti capelli, non parlerò più dei miei capelli ricci “carini”.

Adesso sono una bella ragazza, per inteso. Almeno credo. Ma il trauma non l’ho proprio superato del tutto.

Adesso abito in provincia di Messina, in Sicilia. Anche prima. Poi no.

Da piccola non potevo mangiare nulla che fosse un derivato del latte. A Natale all’asilo nido Babbo Natale ha portato le caramelle al latte per tutti i bambini. Le maestre non mi hanno fatto andare da Babbo Natale. Ora adoro le caramelle al latte.

Avevo un’amichetta del cuore al nido, Cinzia. Non ho idea di che fine abbia fatto. Io mi ricordo benissimo di lei. Lei probabilmente non si ricorderà minimamente di me. Io ricordo tutto. E’ un grosso guaio. Ma me ne sono accorta dopo.

Alla scuola materna adoravo la maestra Adriana. Alla scuola materna avevo deciso che a 18 anni avrei cambiato il mio nome, sarei andata all’anagrafe e mi sarei chiamata Adriana.

Poi a 18 anni ho fatto un tatuaggio.

Con una V.

E con una S.

Quella S nel tatuaggio non è nulla in confronto a ciò che quella S mi ha lasciato. Ma questa è un’altra storia.

Alla scuola materna mi piaceva un bambino, Marco, 1 anno più grande di me. Passavo a gattoni sotto i banchi per andare dietro di lui e dargli un bacio sulla guancia. Mi hanno sempre fatto la spia. Forse però una volta ci sono riuscita.

Ho fatto i primi 4 mesi di scuola elementare dove avrei dovuto. E avevo delle amiche che mi piacevano tanto. Giocavamo a fare le guerriere Sailor e la polverina magica con le gomme per cancellare. A gennaio mamma viene trasferita in privincia di Enna, in un paesino sperduto. Viviana cambia scuola. Addio amiche. Una di loro mi spedisce anche una lettera dopo qualche mese.

Questo coso sta diventando un diario. Poco male. Ma continuerò un’altra volta.

Viviana.

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Sbagliata.

E’ stata solo un’altra sera sbagliata.

Con la persona sbagliata. Nella spiaggia decisamente sbagliata. All’ora sbagliata.

<<Passerà>> si ripete. O la persona sbagliata poco a poco non sembrerà più così sbagliata.

Nel frattempo però continuerà a sbagliare.

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Vorrei dire al gruppo che..

Psicologia.

Sono al 2° anno.

Non l’ho scelto per passione. Non all’inizio, almeno. Non sapevo cosa scegliere. Alla fine la scelta è stata tra psicologia e lingue straniere. Già dalle medie pensavo alle lingue, ero decisa. Ero un tipino, alle medie.

Poi ho iniziato a “scoprire” (nel senso che son cose che c’erano già, solo che se ne stavano nascoste, o non ci facevo caso) tante mie debolezze, tante paure, tanti limiti. Ho iniziato a capire che non riuscivo ad affrontare tante cose. Ho iniziato a capire di essere molto fragile. Ho iniziato a capire che fin troppo spesso non riesco a capire.

E ho iniziato a voler capire perchè.

Questo è uno dei motivi sbagliati per cui la gente si iscrive in psicologia.

Oggi dico che sarebbe meglio entrare in terapia. Non nel senso in cui di solito lo si intende, ma nel senso di iniziare un percorso di autoconoscenza, di presa di coscienza e di consapevolezza di noi stessi e di tante dinamiche che ci riguardano ma che non possiamo comprendere da soli.

“Vorrei dire al gruppo che..” è il titolo del bigliettino che oggi, ultimo incontro del laboratorio “dinamiche di gruppo”, abbiamo scritto. Il gruppo eravamo noi, ma non lo eravamo. Nessuno è riuscito ad uscire dalla propria soggettività per diventare davvero gruppo.

Io-Gruppo. E’ sempre stato un rapporto dicotomico. Io all’interno del gruppo, ma pur sempre Io, non Gruppo.

Vorrei dire al gruppo che io non so essere gruppo, ma mi piacerebbe imparare. 5 incontri sono pochi. Ed è un peccato. Sono finiti.

E non so se sarò una brava psicologa, ma forse la cosa mi inizia a piacere davvero. Forse inizio a vedere quale parte di quello che studio mi può davvero piacere, e su quella dovrei cercare la mia via.

Forse. O forse no.

Nel frattempo mi tocca continuare a studiare. Questo non mi piace. E questo almeno lo so.

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Più è vuota, più pesa. Sai cosa? La vita.

Detto, fatto.

Portafogli più leggero di 240,00 €, armadio un pò più pieno.

Vita e giornata ancora sempre più pesanti, e ancora troppo vuote.

Una cosa vuota può essere troppo vuota o è vuota e basta?

In tutto ciò mi servono un orologio e un portafogli nuovi. Ma nessuna voglia di cambiarli. Non voglio. Non ero io a doverli ricomprare.

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E no.

E no, non avevi ragione.

Può pensarlo, ma non aveva ragione. Punto.

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Al mare.

Sono una di quelle che resta attaccata a carta e penna, io scrivo, scrivo a mano, e poi ricopio al pc. Ci vuole più tempo, ma mi piace così. Mi piace scrivere quando mi viene, non quando ho il pc a portata di mano. Così posso scrivere al mare, a letto, in piazza, in chiesa, in macchina, quando mi va, quando mi viene. Sono al mare. (almeno, ero al mare mentre scrivevo, ovviamente ora non più, ora sono a casa, al computer, che copio quello che ho scritto. Il brutto di scrivere e ricopiare è che si scrivono tante cavolate, e poi viene la tentazione di cancellare alcune cose, di ometterle, di cambiarle. Resisto e non lo faccio.)

Sono una di quelle che non buttano mai via niente. Da quando ho cominciato a diventare ragazzina ho sempre conservato tutto. Mi aggrappo alle cose, non le lascio andare, guardo sempre indietro. Andrò a sbattere da qualche parte, prima o poi. Ho conservato la maglietta del mio primo bacio, per dire. Anche qualche carta di caramella e tappi di bottiglie.

Tra le cose più stupide che ho conservato: l’etichetta interna di un paio di boxer (non miei ovviamente), un pacchetto vuoto di fazzoletti per il naso, uno semi-pieno, un’unghia in gel ormai staccata, un pacchetto vuoto di sigarette. E vabbè poi una valanga di accendini, carte, di biglietti di treni, aerei, etnaland, cinema, concerti, bracciali rotti, e tante altre cose.. Ah si, anche un pacco di pillole, vuoto. Conservo tutto quello che può, anche lontanamente, essere un ricordo, lo conservo gelosamente. E mi ci attacco. Ho anche un fazzolettino scritto che mi hanno fatto trovare un pomeriggio attaccato al mio motorino mentre ero al centro commerciale. Di bigliettini ne ho un sacco. Ho la maglietta strappata di quando sono caduta col motorino, i miei jeans preferiti anche quelli strappati e ormai inutilizzabili. Ho conservato la settimana enigmistica che 2 anni fa avevo comprato con lui per farla in aereo, direzione Sharm El Sheik, la più bella vacanza della mia vita. Ho conservato un pezzettino di carta strappato perchè era servito per fare un filtrino. E ho conservato un test di gravidanza. Usato. E negativo. E un coniglio di cioccolato ormai scaduto da un pezzo, e qualche cioccolatino, sicuramente sciolto.

Il mio armadio è un caos, e se non lo fosse non lo sentirei mio. Per i miei ricordi non basterebbe una di quelle cassapanche di legno che si trovano nelle soffitte, nei film. Vorrei una cassapanca di legno, con la serratura.

E poi sono una di quelle che scende al mare, si sdraia, slaccia il costume, e scrive, come adesso. E guardo le persone, e cerco di immaginare chi siano, cosa siano, cosa avrebbero voluto essere. E sono curiosa, ascolto i loro discorsi, tutti quelli che riesco a sentire.

Chissà perchè, poi, il mare fa bene? Mare, lacrime, sudore. Sono terapeutici. Acqua e sale.

A settembre mi iscriverò in palestra.

La ragazza davanti a me si è alzata. E’ incinta! E’ con sua sorella e il figlio di sua sorella. Parla tanto. Avevo notato la cellulite, ma non il pancione. Avevo pensato: ecco, questa va al mare con la sorella e il nipote, è bruttina, ha la cellulite, magari lavora e ogni tanto esce con qualche amica, non ha un compagno e quindi le piace stare con il nipotino di circa 2 anni. Poi si alza e tò, guarda, ha il pancione.

Mi faccio i film. Come sempre.

A un vecchietto vola via l’ombrellone, e non se ne accorge. Ho visto che stava per volare, l’ho chiamato più volte, ma leggeva ed era nel suo mondo, non mi ha sentita, allora ho continuato a guardare, non potevo alzarmi per via del costume slacciato, e della pigrizia, e della diffusione di responsabilità (anche altre persone si erano accorte che quell’ombrellone di lì a poco sarebbe volato, potevano anche loro fare qualcosa!). Come volevasi dimostrare l’ombrellone vola, ma il vecchietto non se ne accorge e continua a leggere!! Il signore accanto, un pò stizzito, recupera l’ombrellone e lo ripianta.

Il bambino accanto a me dice di voler decidere da solo cosa mangiare. Il nonno, credo sia il nonno, gli dice che non può perchè le cose che vuole lui non vanno bene, deve mangiare la carne, la pasta..

Ah, ecco. Il vecchietto dell’ombrellone si sta mettendo l’apparecchio alle orecchie, si alza e si prepara per andar via. Ecco perchè non sentiva e non si accorgeva di nulla.

Sono le 11.02. Ho caldo. Bevo.

Passa un venditore di “cose indiane”, gli sorrido e faccio segno di no con la testa. Prosegue. Mi dispiace un pò, spero abbia una casa, e una famiglia.

Comunque. Ripenso alla ragazza col pancione. Penso a mia cugina Rosy col pancione. Penso a mia cugina Elena che da poco non ha più il pancione.

Penso che vorrei il pancione. Lo penso da un paio di anni.

21 anni, e penso che anche io vorrei il pancione. Penso che 5 anni va volevo la carriera, i soldi, il mondo, l’invidia degli altri, il successo.

Adesso penso che la misura del successo personale sia la felicità.

Penso che chi si ferma un attimo e pensando alla propria vita si sente felice, sa di essere felice, credo che quella persona abbia più successo di una congrega di religiosi, calciatori e capi di stato messi insieme.

Una bella famiglia molto problematica ma piena d’amore, di quello che fa star tanto male, ma che ti fa dire “ne voglio ancora”. Una famiglia con i figli che ti sbattono la porta in faccia urlando e insultandoti, ma che poi ti portano a casa i loro amici perchè non si vergognano di te, e che qualcosa poi te la raccontano. con un compagno che ti guardi e sorrida, e che ti abbracci. E con mille e mille problemi. Si, voglio mille e mille problemi da affrontare e superare con chi amo.

E’ questo il successo che vorrei.

Ho ancora caldo.

Sto cercando il modo di scrivere di una cosa importante. Importante per me, ovvio. Della cosa per cui sto provando a ricominciare a scrivere. Ma non riesco. Arriverà il momento. Intanto continuo ad allenarmi così, nella speranza di riuscire poi a scrivere qualcosa di sensato su quello.

Sono al mare, mi guardo… Mannaggia! Devo ritrovare un motivo per depilarmi sempre, e non solo ogni tanto. Così non va bene.

Accendo una sigaretta e penso.

Pomeriggio comprerò delle scarpe.

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Ladri.

Si sono prese la vita che era mia.

Ladri.

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26 giugno 2012 · 5:27 PM

Quando mi chiedono di presentarmi… Ma come si fa?

Raccontarmi?

Non so farlo, e soprattutto non saprei farlo senza raccontare di qualcun altro.

Sono quello che ho vissuto, sono le persone che ho incontrato, sono le lacrime che ho versato e i sorrisi che ho regalato, i baci che ho dato e le carezze che ho ricevuto. Sono tutti i miei sbagli, e sono davvero tanti. Sono dolore, tanto dolore, troppo forse. Dolore e profonda sofferenza.

Sono tanta paura, paura di essere sola, perchè sono sola, e mi fa paura, non so essere sola, quindi adesso non so essere.

Non so dire chi sono perchè non so chi sono. Devo costruirmi, devo farmi, e non so come, non so da dove cominciare perchè non so dove voglio arrivare, non so chi voglio essere. So solo che non voglio “essere”, se devo essere da sola.

Questa sono io, un sacco di possibilità di essere, troppe possibilità di essere, che si traducono in un continuo non saper essere.

Esiste una scuola per imparare ad “essere”?

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Chissà se so ancora scrivere qualcosa.

Sono entrata in una chiesa, è mattina, e non per un matrimonio, nè per un funerale.

Sono entrata in una chiesa e basta, dopo anni, anzi, per la terza volta nella mia vita. Si, perchè in 21 anni è la terza volta che entro in chiesa perchè lo decido io, per un motivo, e non perchè è domenica, o Natale, e che so altro.

Sono entrata in una chiesa, dicevo. Una qualunque, a Messina ce ne sono un botto. Che poi, perchè così tante chiese? Occupano un sacco di spazio, Messina è così piena di chiese e così vuota di palestre e quant’altro.

Ok, non c’entrano le palestre. Divago.

Comunque, sono entrata in chiesa, per la terza volta. E’ completamente vuota. Io e la chiesa, nessun altro, proprio nessun altro. Che poi, in fondo, chi pensavo di trovarci?

Non sarà mica che 5 anni di catechismo e una vita con una “credente” in casa mi hanno un pò influenzata, nonostante tutto? Che poi, “credente”… Ma credente di che, in che, a che pro?

Anche io sono credente, a modo mio. Credo in un sacco di cose.. ma questa.. non la capisco proprio. E ci ho provato. Tre tentativi sono tanti, a pensarci. Anche se i primi due erano forse un pò troppo opportunistici.. Diciamo che pensavo di poter scendere a patti con… con chi? Comunque era un pò una cosa del tipo “dimostrami, se fai questo.. giuro che io…” Buffo, no? Ma chi non l’ha fatto almeno una volta?

Adesso è entrato un uomo, lo guardo passare, mi guarda passando, non so se salutare.

Nel dubbio, taccio.

Gli sarà sembrato strano trovare qualcuno in chiesa a quest’ora, di lunedì mattina, poi per di più una ragazza… e con una canottiera e dei pantaloncini cortissimi! Chissà cosa starà pensando.. Ma io mica avevo previsto che sarei andata in chiesa, e poi, mi chiedo, perchè deve esserci un modo preciso di vestirsi per andarci? In fondo sono sola..

Ah, quasi dimenticavo, mi sono seduta sulla sesta panca, a destra. Avete presente le targhette intitolate alla memoria di qualcuno che sono attaccate alle panche? Chi è stato in chiesa ci avrà fatto caso almeno una volta. Ecco, la targhetta davanti a me è intitolata a una tale “Di Leo Carmela”, e su questo preferisco non dir nulla.

Comunque, il signore di poco fa si inginocchia sulla prima panca a destra, sta così per un pò. Mi sento a disagio, dovrei imitarlo?

Nel dubbio, sto ferma.

Si alza e va sul quel coso dove di solito si legge, il pulpito forse, non so se si chiama così. Legge qualcosa, chissà cosa c’è scritto, chissà se possono leggere tutti, chissà se anche io posso alzarmi, così, e andare a vedere che c’è scritto, magari ci trovo scritto qualcosa per me. Se quel libro sta lì aperto significa che tutti possono andare a leggere. Finito di leggere non so cosa, il signore, sui 70 anni, grasso, con una camicia celeste a quadri a mezze maniche, dei jeans chiari, scarpe nere, pochi capelli bianchi e occhiali da vista, passa davanti all’altare fermandosi per fare il segno della croce e un mezzo inchino con la testa. Ma inchino per chi? E se ne va.

Non saluta. Neppure io.

Resto sola, di nuovo, finalmente. Aspetto un pò, 10 minuti forse, mi alzo, vado a leggere. Come pensate siano scritti i libri che leggono in chiesa? Io pensavo che fossero tutti scritti di nero e a caratteri piccolissimi, come il vangelo o come quelle bibbie che si trovano nel cassetto del comodino delle camere d’albergo. Dovrebbero metterci una bottiglia di liquore nei comodini, non la bibbia, sarebbe molto più di conforto.

Ancora una volta non c’entra. Divago.

Comunque, è scritto a caratteri enormi, che anche un mezzo cieco potrebbe leggere. Il titolo è rosso, alcune cose verdi. E’ la lettura del lunedì, non c’è niente per me. Si parla di Israele, di un altro posto che non ricordo, e di Egitto. Ah, si, forse l’Egitto è per me. Simpatici -.-” Poi c’è una cosa del tipo “vedi la pagliuzza nell’occhio dell’altro, ma non la trave nel tuo occhio.”. Si, carino, ma è un pò un luogo comune del cavolo. Poi c’è la lettura del martedì, non voglio leggerla, oggi è lunedì. Comunque.

Delusa. Torno a sedermi.

Dicevo che questa è stata la mia terza volta in chiesa. La prima è stata nel 2007, a maggio. Era domenica, ma io in chiesa non ci andavo già più. Quella volta ho giurato che sarei andata tutte le domeniche se… Ma il mio patto non ha funzionato. Ma avete presente quella citazione che più o meno dice “non ottenere ciò che si vuole a volte è una gran fortuna”? Ecco, allora avrei preferito di gran lunga avere ciò che volevo… ma cosa mi sarei persa… Però ho dovuto aspettare tanto.. Ma la risposta è arrivata.

Esattamente un anno e mezzo dopo. Ma è arrivata.

E allora si, è stato davvero meglio che il mio patto non abbia funzionato.

La seconda volta è stata poco più di un anno fa, ero a Messina, come oggi, ma la chiesa era un’altra. Non ricordo di aver fatto un patto quella volta. Però cercavo delle spiegazioni, e delle soluzioni, forse. Dovevo proprio essere sconvolta per cercare questo in chiesa.. Tanto valeva andare a farmi leggere la mano da una zingara o qualcosa del genere. Comunque anche quella volta niente di niente. Quella volta però speravo che arrivasse qualcuno con cui parlare, immaginavo che dalla sacrestia (si chiama così?) sarebbe uscito una sorta di reverendo Camden in stile “Settimo Cielo”. Avrei avuto molto da dire e tante cose da chiedere. Ma nulla. C’erano solo due signore anziane che pulivano l’altare chiacchierando tra di loro. Poi è entrato il prete. E’ passato ignorandomi del tutto, senza neppure salutare, ha chiesto alle due donne non mi ricordo cosa ed è andato via.

Delusa.

Quella chiesa ora mi sta antipatica. Non che in genere le chiese mi piacciano, ma le tollero. Quella però no.

Comunque. Nel frattempo io sono tornata all’università (se così vogliamo chiamare un istituto salesiano con stanze adibite ad aule per il nostro corso di laurea), sono in un’aula vuota, ma sicuramente sto meglio qui che in chiesa. Qui non direbbero nulla vedendomi scrivere, non mi guarderebbero storto perchè ho i pantaloncini corti, e se volessi potrei anche pregare (mentre in chiesa non potrei certo studiare), al limite qualcuno mi chiederebbe perchè lo faccio. Qui siamo tutti diversi, e nessuno se ne preoccupa, anzi, forse ci piace, e sappiamo però anche di essere tutti molto simili.Si, sto senz’altro meglio all’università piuttosto che in chiesa.

Ancora una volta, divago.

Comunque. Oggi, dicevo, sono andata in chiesa, forse per un motivo diverso dalle altre volte. Non mi aspettavo miracoli, non cercavo spiegazioni nè volevo una medicina magica. Volevo forse “sentire” qualcosa. Ho sempre meno domande, ma prima di chiudere definitivamente quel discorso volevo provare di nuovo. Ma niente.

Ero sola in chiesa. Completamente. Un grande spazio vuoto con qualche statuetta, ma erano solo statuette. Sarebbe bastato poco, perchè in alcuni momenti, come questo per me, non ci vuole molto per far si che si trovi qualcosa cui aggrapparsi. Ma niente, nessun segno, nessuna risposta, nessun sentimento. Niente di niente.

Che poi, in fondo, anche questa è una risposta. E non ci sarebbero più motivi di avere altri dubbi. E ho esaurito i tentativi a disposizione.

Me l’aspettavo.

Se mi sono sbagliata, ma non credo, a tempo debito avrò una lunga, lunghissima chiacchierata da fare..

E non sarà certo amichevole.

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E guardati adesso. Sei sola, completamente sola. Non c’è più nessuno, se ne sono andati tutti. E quelli che cercavano di restare li hai cacciati via tu. Cosa ti resta? Le lacrime non sono di gran compagnia. Le foto sono immobili. Un peluches è pur sempre un peluches e non è lui, anche se tu fai come se lo fosse. La vita che avresti voluto, tutti quei progetti, tutte quelle aspettative, tutta quella speranza verso quel futuro che, lo sapevi, non sarebbe stato facile, ma sarebbe comunque stato quello che volevi.. Era quello che volevi. Per una volta stavi bene. Sembra strano, ma stavi bene davvero. E sembra ancora più strano, ma sapevi benissimo di stare bene, di essere felice, non chiedevi nient’altro. Sapevi che era quello tutto ciò che desideravi, non volevi nient’altro. Eri felice veramente. E a tutto si poteva trovare una soluzione, e in tutto si poteva trovare qualcosa di positivo. E ora? Non riesco ancora a capire. Non lo so metabolizzare. Io sono ancora con lui. Mi sento ancora insieme a lui davvero. E’ quello il mio posto. E’ l’unico posto in cui potrei stare. Era la mia vita. L’unica che so immaginare, l’unica in cui posso essere io. Questa non è la mia vita. Questa poi non è proprio una vita. Sono completamente sola. Ho bisogno di lui. C’è solo il vuoto e il dolore. Sono completamente sola. Niente ha senso.. Partirò.. e non servirà assolutamente a niente.. La mia vita è con lui. Senza di lui non esisto.

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